Le sette vite dei gatti: perché diciamo così?
Sette vite o di più?
È credenza popolare che i gatti abbiano più vite, proprio come se fossero i protagonisti di un videogioco dove dopo ogni sconfitta si può riprendere la partita.
Comunemente ne hanno sette, come recita il proverbio, seppure nel mondo anglosassone siano nove. Indipendentemente dalla longevità loro attribuita, appare chiaro che ai mici siano riconosciute possibilità di sopravvivenza rare. A cosa si deve tutto ciò? Per quale motivo dovrebbero avere sette vite?
Sette vite come un gatto: origine dell'espressione
La convinzione - fittizia - deriva principalmente dallo stile di vita dei gatti: animali agili, tendenzialmente sprezzanti del pericolo e dotati di un equilibrio veramente eccezionale, capaci di cadere da grandi altezze e restare, fondamentalmente, illesi. Tali qualità fanno credere che possano avere a disposizione più vite.
C'è poi un motivo storico, risalente ai tempi bui del medioevo. In quel periodo di fanatismo e ignoranza diffusa si riteneva che il gatto fosse la reincarnazione di una strega o uno stregone. Per tal motivo, essi venivano torturati con odio e crudeltà. In alcuni casi riuscivano a sopravvivere alle atrocità cui venivano sottoposti, grazie alla loro eccellente fisicità.
Forse per riappacificarsi con la propria coscienza o per un misticismo tanto fervente quanto ottuso, era convinzione diffusa che il gatto deceduto a causa delle sevizie subite si sarebbe reincarnato più volte, resuscitando come l'araba fenice della leggenda.
Ma perché proprio sette vite?
Alla luce di queste informazioni, ad ogni modo, il numero di vite da assegnare all'animale avrebbe potuto essere un numero qualsiasi, perché proprio sette? Pura casualità? Sembrerebbe di no, poiché la cifra assume significati importanti, associabili al gatto. Il sette è infatti numero della perfezione, dell'universalità e dell'equilibrio.
Il sette è associato alla luna, il cui ciclo si divide in quattro fasi di sette giorni ciascuna, dunque completezza e perfezione.
Da un punto di vista più simbolico e assolutamente esoterico, Pitagora e i suoi seguaci assegnavano al numero tre una corrispondenza con l'umanità e al quattro una con la divinità. Sommandoli, ecco raggiungere il sette: punto di incontro tra umano e divino, materia e spirito, mortalità e immortalità. Nell'antico Egitto il numero rappresentava la vita, come testimoniano le piramidi, unione di un quadrato e un triangolo, ovvero sette lati. Anche Platone univa quella cifra all'eternità.
In quello stesso Medioevo di cui abbiamo già scritto, le arti e le scienze fondamentali erano proprio sette: lingua o grammatica; logica; retorica; aritmetica; geometria; musica e astronomia. Per i buddisti il numero rappresenta la completezza e anche nel cristianesimo i riferimenti al sette si sprecano: i sacramenti, le virtù teologali e cardinali, i doni dello Spirito Santo, le piaghe d'Egitto e le opere di misericordia; tutti sono esattamente sette.
Da sette vite a nove
Anche la scelta anglosassone del numero nove, in sostituzione delle sette vite che la maggior parte del mondo assegna ai gatti, è legato all'idea di perfezione. In quella cultura, infatti, associano al tre l'idea di completezza perfetta. Dunque quale numero migliore del quadrato del magic number? nessun valore ha maggior significato, nell'immaginario collettivo anglosassone, della cifra perfetta moltiplicata per sé stessa.
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